Idee e visione per una Sardegna migliore
Sergio Zuncheddu non si candida ma indica la strada. Dubbi e sogni su una terra
che necessita di realismo e concretezza
Cita John Maynard Keynes, l’economista che ha ideato il moltiplicatore in economia. Ricorda Renato Soru (“Ha venduto l’ultimo pezzo del Cis a Intesa San Paolo, Bper si è presa il Banco di Sardegna con i soldi del Banco di Sardegna! Quindi, i nostri. E la nostra regione non ha più banche!”). Scomoda i Moratti: “Ero amico di Gianmarco, scomparso qualche anno fa, ci frequentavamo con le famiglie. La loro azienda ha il motore a Milano e il tubo di scarico a Sarroch. Appena finirà il petrolio, a fronte di circa millecinquecento buste paga, lasceranno inquinamento, degrado ambientale e bonifiche da fare”. Sergio Zuncheddu tira dritto. Presenta il suo libro “Buongiorno Sardegna”. E la sala lo riempie di affetto e riconoscenza. A Burcei, il suo paese, nel cuore dei Sette fratelli. Montagne incantate, cervi e aquile, braccia laboriose ed energiche, giovani che chiedono un raggio di sole. Per non scappare. L’imprenditore taglia corto: “I miei genitori mi avevano promesso la 500 ai diciotto anni se fossi rimasto. Mia madre mi diceva “ciccarì unu postixeddu!”. Pensava all’impiego nel pubblico, sicuro e a vita. Ho salutato” dice secco. E lancia un bacio alle mamme: “Siete le figure più importanti al mondo ma lasciate partire i vostri figli. Lasciateli fare, torneranno più forti”. Come ha fatto lui. La sala applaude, gli inviati del gruppo editoriale, scrivono e filmano. Il dottore, come nella moderazione lo chiama il direttore dell’Unione Sarda, Emanuele Dessì, guarda lontano. Lo sguardo è una via di mezzo tra compiacimento, furbizia e la certezza che ci sia davvero tanto da fare. Forse, di più. “Siamo un popolo forte, tenace, determinato. Ma veniamo da millenni di dominazioni, quasi che ci piaccia avere qualcuno che decida per noi. Ma c’è da chiedersi perché se tremilacinquecento anni fa siamo stati capaci di costruire settemilacinquecento nuraghi, forse diecimila, attualmente un sardo ha un reddito medio annuo di ventimila euro e un lombardo arriva al doppio? Eppure, hanno anche loro un solo cervello e due mani!”. Burcerese doc, condanna la sudditanza, promette ed elenca soluzioni che vedono il centro più alto in provincia come hub. Gli spoke? Villasalto, la 125 verso Maracalagonis, Sinnai e la città Metropolitana di Cagliari, Castiadas: “Ho già ragionato con i progettisti sul percorso, visto dall’alto anche con un piccolo aereo. Lo sviluppo socioeconomico passa anche per i collegamenti e la comunicazione efficienti”. Altri applausi. Il sindaco Simone Monni e gli assessori, gongolano. Sergio Zuncheddu parla di responsabilità: “Anche quelle del nostro giornale e della tv che combattono chi attenta i nostri territori: qui da noi vengono per la bellezza dei luoghi e dei paesaggi, se piazzano centinaia di pale eoliche alte duecento metri, o distese di pannelli elettrovoltaici, ci fregano definitivamente”. Prosegue con Babay, il nonno che intuiva e indicava il domani e con il parroco, don Giuseppe, rimarca il tema risorse “da incrementare per garantire benessere diffuso e sostenibile”. Il libro, 334 pagine, omaggiato ai compaesani, racconta di tavoli che non possono traballare: “I quattro piedi sono composti da imprenditoria, politica, burocrazia e sindacati. Troviamo un accordo, fermiamoci un attimo lontani dalla convenienza immediata e individuale: se si vuole bene alla Sardegna, si deve giocare di squadra” ammonisce con la voce che gli va spesso via per la tosse. Frasi e concetti precisi. Che condannano arroganze, manipolazioni, finti capitani d’industria, il sottobosco che alimenta corruzione e manipolazioni. Nel dna del volume i valori collettivi sono preminenti. E - pur riservando un legittimo spazio alle intraprese virtuose e trasparenti - diventano sia perimetro di formazione e relazioni forti con gli atenei, sia patto comune per affrontare al meglio problemi atavici, dai trasporti alla sanità, passando per le opzioni occupazionali, agricoltura e allevamento di qualità. La visione, tutta da mettere in pratica, scomoda ovviamente il ruolo propulsivo del business connesso alle aziende made in Sardinia. Ma anche la scuola, l’Intelligenza artificiale (“Nei prossimi dieci anni cambierà le nostre vite!”), i “mestieri verdi”, l’obbligo di riassettare “il disordine isolano crescente” e un Pil, guarda caso, decrescente. Spazio e riflessione anche per stile di vita e salute, ecologia, rispetto dell’ambiente e della natura. Su questo fronte, le bacchettate alla Saras, alla Rumianca e all’Eni si ripetono: “I nostri bambini rischiano, o l’hanno già fatto, di bere acqua contaminata in aree oramai compromesse e da bonificare”. Il flash è preciso. Che poi l’editore scordi di citare la Fluorsid del presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, attesa da bonifiche per risanare il disastro ambientale a Macchiareddu, sentenziate nel 2017 dal Tribunale del capoluogo, è un’altra storia. E, a proposito di pallone, quando dal pubblico gli chiedono di comprare la società, il sorriso è di chi la sa lunga. “Mi sarei rovinato! Ai tempi degli Orrù mi contattò il direttore sportivo, Carmine Longo. Avrei ottenuto i venti miliardi necessari per l’acquisto vendendo Fonseca. Dissi di no. E l’operazione la fece Cellino”. I compagni di cortile (“Ti ricordo, facesti fumare un rospo fino a farlo scoppiare!” dice all’amico d’infanzia), i parenti e le dediche: “Che oggi saranno contenute rispetto alla paginetta che mi piace scrivere di solito nel risvolto di copertina”. Sulle maldicenze, poche storie: “Me ne sono sempre fregato. L’invidia è una brutta bestia!”. Il mosaico dei temi soddisfa la platea di casa. Quasi due ore di oratoria da uomo solo al comando. Che però non ama la solitudine. L’invito di mettersi alla prova giunge puntuale. “Ho detto no per due volte a Silvio Berlusconi. La seconda volta mi disse che per noi imprenditori c’era un momento in cui bisogna restituire quel che la comunità ci ha dato. Non scordo questa frase, anche perché sono certo di essere vostro debitore”. Dunque, niente candidatura. Ma il quesito aleggia: l’attivismo, anche con il tour per la presentazione di “Buongiorno Sardegna” - che riepiloga con un “è nato tutto quasi per caso a Olbia, dove, dopo tante insistenze, ho accettato l’invito di un amico da quarant’anni, Nardino Degortes” - necessita di una spiegazione. Il gruppo, con linea editoriale, servizi e inchieste che si possono incanalare, addomesticare, amplificare, è e rimane un bel giocattolo di informazione, seduzione e persuasione. Potere, dunque. D’altronde, potere e sottopotere, palese e occulto, vanno a braccetto, dacché la storia dell’uomo ha memoria, con l’imprenditoria. Ma non solo. La sensazione è che Sergio Zuncheddu abbia almeno due esigenze prioritarie: ribadire di essere sardo identitario fino al midollo. Pronto a dare tutto per la sua terra. E non guasta. Però, la risoluzione del quiz appare troppo facile. A rischio di sbagliare, nelle mosse, anche posturali e del tono del dialogo, non sembra temerario individuare un bersaglio che si traduca nell’indossare le vesti del Padre nobile. Sorta di icona, culla ideatrice della formula buona per il riscatto dei sardi: “Nel libro trovate la mia opinione che vale quanto quella di chiunque tra gli otto miliardi di esseri viventi sulla Terra!”, smorza. Però, il sugo rimane quello. Indirizzare senza esporsi direttamente, dare consigli, persuadere su strade progettuali innovative, con interpreti e rischi da valutare. Un manifesto elettorale, piaccia o meno, che scandisce un panorama attuale per chiunque ci provi alle prossime elezioni regionali del 10 marzo. Ci sono i soliti trasporti da incubo (“È concepibile che da qui a tre giorni non si riesca a trovare un posto aereo per Linate?”), l’idea di offerta integrata con un turismo locomotiva. Anche il capitolo “Dove possiamo andare” sostiene una dimensione locale che abbia patente, regole d e solidità per essere competitiva negli scenari nazionali ed europei. Identica l’attenzione a infrastrutture ed energia: “Se penso ai contributi presi da tante aziende del continente per opere da realizzare in Sardegna, poi scomparse nel nulla!”. Quindi, mercati e transizione: “Usiamo con intelligenza il fotovoltaico, condividendo passo passo installazioni e produzioni con le amministrazioni locali: perché noi dobbiamo produrre quel che serve alle altre regioni senza averne neppure un tornaconto?”. Buoni propositi. Poi, c’è la realtà. Sergio Zuncheddu pare intenzionato a fare sul serio. Chissà. Magari, dalla scrivania in mogano del proprio ufficio nella city milanese o dalla redazione. Più complicato, in prima persona. C’è poco da arrossire, non sarebbe una notiziona. Anche in passato e ovunque, l’hanno fatto uomini di buon senso e visione, con pragmatismo e un filo di utile romanticismo. Scafati, con pochi problemi a colpire e tagliare i rami secchi quando serve, pronti a suggerire benessere e saggezza ai politici e agli amministratori. Accade ovunque, anche in Sardegna. Dalle nostre parti, tra i tanti “sussurratori”, più o meno occulti, viene in mente Armandino Corona. Un leader, dunque. Quello che, tra le tante cose, pare mancare negli orizzonti isolani. L’editore chiude la serata, con sottofondo di una band di suonatori di fisarmonica e launeddas, con una frase da cittadino onorario: “Siete tutti invitati a una festa speciale. Quella di una Sardegna forte, rispettata, ricca. Vi aspetto nel 2052”.